Roma sparita

14 febbraio 2023

Il carnevale a Roma sparita ovvero quando la trasgressione era consentita...


The Roman Carnival
 Wilhelm Wider 
(Stepenitz 1818 - Berlin 1884)
A Roma sparita, il popolo, i nobili, il clero aspettavano tutti il Carnevale perchè: «Semel in anno licet insanire»
(=una volta all'anno è lecito impazzire).
E così per alcuni giorni la Chiesa consentiva di trasgredire le rigide norme di ordine pubblico, anche se le macchine di tortura, la «corda» e il «cavalletto» erano ben esposte come monito a non esagerare.  

Balli, feste, travestimenti  e soprattutto competizioni.  Nonostante i bandi e gli avvisi papali che cercavano di   regolamentare il carnevale, migliaia di persone di tutte le  estrazioni sociali si riversavano in piazza con una grande voglia di trasgressione e ..per dare vita ad uno spettacolo improvvisato. 
Ricchi, poveri, ecclesiastici, con maschere stravaganti si mischiavano nella folla, dimenticando ogni gerarchia sociale. In questi giorni si prendeva gioco di tutto e tutti, anche delle autorità pontificie e non solo! 
tortura del cavalletto
Tutto era concesso, un intervallo dai pesanti schemi che la vita quotidiana dell'epoca imponeva. 
Insomma per otto giorni era sconvolto ogni ordine sociale e religioso.

I luoghi del Carnevale a Roma.
Dopo il periodo Medioevale, il Carnevale a Roma fu riportato in auge alla fine del Quattrocento dal gaudente papa veneziano Paolo II Barbo (1417-1471), e in quegli anni lo sfarzo dato ai festeggiamenti romani superava persino quelli veneziani. 
Dopo il trasferimento della residenza pontificia a Palazzo Venezia avvenuta con questo papa, la maggior parte dei festeggiamenti carnascialeschi si concentrano nel centro storico ed in particolare nella Via Lata (attuale Via del Corso). 
Lo scenario principale ruotava intorno a questa via e alle strade circostanti. 
E così per chi se lo poteva permettere, c'era la possibilità di affittare lochi, cioè posti a sedere, proprio lungo via del Corso e di partecipare alla festa andando in giro con le carrozze. 
La Commedia dell’arte, le sfilate in maschera, i Giochi Agonali, i carri allegorici, i tornei e le giostre, le attesissime corse dei cavalli berberi e la finale festa dei moccoletti coinvolgevano tutta la popolazione, richiamando viandanti e curiosi da mezzo mondo.

La mossa dei barberi,
dipinto di G.F.Perry, 1827
Il carnevale si apriva con un corteo ufficiale delle autorità e delle maschere che sfilavano lungo l'antica via Lata,  attuale via del Corso, dove si alternavano teatrini improvvisati e maschere tradizionali, ispirate anche alla vita quotidiana.

La corsa dei cavalli berberi
Molto apprezzata da romani e forestieri era la famosa “corsa dei barberi”
I berberi erano cavalli dalla corporatura bassa e robusta che venivano lanciati senza fantino da Piazza del Popolo fino a Piazza Venezia (per fermare la corsa dei cavalli veniva steso un telone). Il proprietario del cavallo che arrivava primo riceveva una somma di denaro e un broccato d’oro con cui si ricopriva il dorso del cavallo.  
Proprio il nome di via del Corso deriva  da questi festeggiamenti.
La fine del Carnevale e i moccolletti.
A partire dal '700, il carnevale a Roma sparita finiva sempre con la battaglia dei “moccoletti”
Il  popolo invadeva strade  e piazze tenendo in mano un moccolo (=candela) racchiuso in paralume di carta.  
Il gioco consisteva nel cercare di spegnere il moccolo altrui. Poveretto chi rimaneva con il  moccolo spento!! Era infatti sottoposto ad ingiurie di ogni tipo, a cui non poteva reagire e spesso i festeggiamenti finivano in rissa. 
 E il mercoledì delle ceneri spesso affollavano le chiese persone ubriache e malconce.

Fine del rito 
Il rito liberatorio del Carnevale si prolungò anche in epoca postunitaria, sotto la protezione della Regina Margherita, con splendide sfilate in costume e nuove, divertenti maschere come quella del Generale Mannaggia La Rocca.
Tuttavia, Roma capitale era divenuta una città sovraffollata, e i problemi di ordine pubblico cominciavano a emergere. 
La prima a risentirne fu la corsa dei Berberi. Quando nel 1874 tredici persone furono travolte e due uomini uccisi dai cavalli, sotto gli occhi delle Loro Maestà, la giunta Venturi decretò la fine della corsa, e con essa del Carnevale romano. 
Come scriveva Trilussa, «Leva il tarappatà, leva la gente, leva le corse... e la baldoria è morta, er Carnevale s’ariduce a gnente».


Il rito degli ebrei per Carnevale
Curiosando nei testi di Giggi ZanazzoSi racconta un'antica tradizione romana che voleva che il primo giorno di carnevale il capo rabbino del ghetto andasse a riverire il Senatore, cioè il più alto rappresentante delle istituzioni comunali a Roma (carica soppresso nel 1870), e s'inchinasse davanti a lui con la testa per terra.
Allora il Senatore  metteva un piede sulla testa del rabbino, oppure lo mandava via con un calcio nel sedere come  benvenuto.
Con il tempo questa usanza meschina e umiliante imposta agli ebrei andò sparendo, e in cambio gli ebrei furono obbligati a pagare tutti i palii, cioè i drappi che si davano in premio al vincitore della corsa dei cavalli berberi, che si faceva appunto negli otto giorni di carnevale.
moccoletti al Corso,
Ippolito Caffi, 1850 c.
Sempre  Zanasso riferisce anche alcuni particolari del commercio ambulante che avveniva nelle strade, nei vicoli, nelle piazze di Roma durante il carnevale. 
Si  scherzava per le strade con lanci di coriandoli, di «mazzettacci» (bouquet di povero verdurame), e di «confettacci», pastiglie di gesso colorato. 
E il venditore di questi ultimi, il confettacciaro così gridava per commercializzare la sua merce:
Confetti, conféee! Chi vvô’ li confèttii? 

Sempre per le strade di Roma sparita risuonavano le grida di chi affittava sedie o luoghi adatti a godersi lo spettacolo: Chi vô llòchi?

Infine l'ultimo giorno di Carnevale, i venditori di móccoli promuovevano la loro preziosa merce dicendo: È acceso er moccolo!