Un personaggio famosissimo nella Roma del primo '900 è stato il Sor Capanna.
Nato a Roma il 9 aprile 1865, nel popolare rione di Trastevere, in via del Verderame (l'attuale via Luciano Manara), la storia di Pietro Capanna si presta a parecchie riflessioni.
La vicenda umana e artistica di questo personaggio romano è infatti esemplificativa delle difficili condizioni e della precarietà in cui si viveva all'epoca...
Gli inizi
Il giovane Pietro, nato in una famiglia modesta, iniziò a lavorare come garzone di macellaio, muratore, ceraiolo...
Un incidente sul lavoro gli procurò una grave congiuntivite, che lo rese quasi cieco e lo costrinse a portare degli enormi occhiali affumicati (empirico rimedio praticato in quei tempi) e ad abbandonare il lavoro.
Primi provvedimenti per la tutela dei lavoratori.
Dal punto di vista della tutela dei lavoratori si era però agli albori.
Eppure nel 1898 il Legislatore – sulla traccia indicata dai Paesi europei più evoluti – si era posto il problema della tutela dell’integrità fisica dei lavoratori, con la “Legge sull’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro (L. 12 marzo 1998, n. 30)”, preoccupandosi di riparare le conseguenze nefaste dell’incidente sul lavoro, derivanti dalla crescente industrializzazione del Paese. E l'anno dopo, nel 1899, veniva assicurata la tutela della integrità fisica del prestatore d’opera con il “Regolamento generale per la prevenzione degli infortuni (R.D. 18 giugno 1899, n. 230)”.
Purtroppo restavano esclusi dalla disciplina prevenzionistica tutto il settore del commercio, la maggior parte delle piccole imprese industriali e l’intero settore dell’agricoltura.
La vicenda di cui stiamo parlando si svolge a Roma tra fine Ottocento e primi del 900.
La situazione a Roma nel primo Novecento
Roma era diventata capitale d'Italia nel 1871 e in cinquant’anni, dal 1861 al 1911, l’industrializzazione del Paese, sia pur limitata per lo più ad alcune zone del nord e delle regioni centrali, consentì all’Italia di partecipare al movimento espansivo dell'economia europea. I progressi dell'Italia sono innegabili.
A Roma però la situazione era diversa.
I nuovi governanti avevano infatti trovato una situazione di arretratezza nello stato governato da pontefici.
Certamente c'era laboratori artigiani, piccole officine, ma la precarietà delle condizioni di lavoro era grande, anche se la situazione economica stava migliorando in conseguenza degli investimenti voluti dalla nuova classe al governo, soprattutto per quanto concerne l'edilizia, settore trainante nella città che era diventata capitale d'Italia e quindi doveva espandersi.
Stornelli romani
Lo stornello romano è una forma di canto popolare, spesso con delle rime. Nei primi anni dell'Ottocento se ne scrivono moltissimi, tutti di elevato livello. Inizialmente lo scopo dello stornello è il contenuto amoroso, poi si vira verso lo "sfottò", la presa in giro, insomma la satira tanto diffusa tra i romani..
Gli stornelli si inseriscono nel panorama della musica popolare italiana, che diviene lo strumento per eccellenza della creatività romana.
Nati spesso dall’improvvisazione e dall’estro del momento, venivano cantati nelle osterie, ma anche dalle donne da balcone a balcone e dai carcerati di Regina Coeli.
Lo stornello romano, di solito breve e immediato, viene poi ripreso e tramandato dai cantori di strada, dai carrettieri o venditori ambulanti.
Ma è nell’Italia del dopoguerra e dei vari festival della canzone, ai quali partecipano cantanti, nel cui repertorio troviamo gli stornelli, che questo tipo di espressione popolare romana acquista fama e grande diffusione in tutt’Italia.
Capanna, invalido e disoccupato inventa un personaggio di successo
Tornando a Pietro Capanna c'è da dire che si ritrovò ad affrontare la difficile situazione di invalido e disoccupato!
Ma come si sa la necessità aguzza l'ingegno e per sbarcare il lunario si inventò un nuovo...lavoro.
Capanna cominciò a fare il suonatore ambulante di chitarra e cantastorie fuori dalle osterie. Cantava stornelli per lo più di sua invenzione, sulla linea delle tradizione popolare romana.
Molti testi di Capanna entreranno nel repertorio di Petrolini, attore e affabbulatore
straordinario.
La satira del Sor Capanna
La novità dei suoi stornelli era costituita dunque dalla satira che c'era nei suoi versi.
Si ispirava ai fatti di cronaca, lanciando sferzanti satire contro i personaggi della politica e i dettami della moda, con un po' di licenziosità.
Andava in giro per le strade e a pranzo e cena entrava nelle taverne cantando, con una piccola compagnia di artisti di avanspettacolo ed arte varia che gli faceva da spalla, che in città si muoveva servendosi di un pittoresco carrozzone trainato da un cavallo (Pantalone).
Era apprezzatissimo.
Anche il look era azzeccato, il paio di occhiali scuri diventeranno famosi come "segno di riconoscimento".
Il successo per le sue semplici strofe fu tanto grande tanto da essere stampate su biglietti e cartoline andavano a ruba.
Intanto si era sposato con Augusta Sabbatini, che diventerà il suo braccio destro, guidandolo negli spostamenti.
L'apice del successo viene raggiunto nei primi anni del '900, quando importanti tematiche politiche (Guerra di Libia, Prima Guerra Mondiale, ecc.) offrono all'autore nuovi soggetti verso i quali arrotare la sua tagliente vena satirica.
Capanna e Petrolini
Nel 1913 viene portato sul palcoscenico della Sala Umberto da Ettore Petrolini, allora stella nascente, che lo presenta come "il suo maestro".
Sor Capanna inciampa però sempre più spesso nelle maglie della censura, tanto da essere fermato dalla polizia e subire varie volte il sequestro del suo strumento di lavoro.
Logorato da una vita dura, nell'ottobre 1921 Pietro Capanna è colto da infarto mentre si esibisce. Ricoverato, muore pochi giorni dopo, a soli 56 anni, lasciando dietro di sé non il solo repertorio delle sue strofe, pur cospicuo, ma un vero e proprio solco artistico, di cui in seguito seppero approfittare vari altri autori, alcuni dei quali poi divenuti a loro volta celebri.
Nato a Roma il 9 aprile 1865, nel popolare rione di Trastevere, in via del Verderame (l'attuale via Luciano Manara), la storia di Pietro Capanna si presta a parecchie riflessioni.
La vicenda umana e artistica di questo personaggio romano è infatti esemplificativa delle difficili condizioni e della precarietà in cui si viveva all'epoca...
Gli inizi
Il giovane Pietro, nato in una famiglia modesta, iniziò a lavorare come garzone di macellaio, muratore, ceraiolo...
Un incidente sul lavoro gli procurò una grave congiuntivite, che lo rese quasi cieco e lo costrinse a portare degli enormi occhiali affumicati (empirico rimedio praticato in quei tempi) e ad abbandonare il lavoro.
Primi provvedimenti per la tutela dei lavoratori.
Dal punto di vista della tutela dei lavoratori si era però agli albori.
Eppure nel 1898 il Legislatore – sulla traccia indicata dai Paesi europei più evoluti – si era posto il problema della tutela dell’integrità fisica dei lavoratori, con la “Legge sull’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro (L. 12 marzo 1998, n. 30)”, preoccupandosi di riparare le conseguenze nefaste dell’incidente sul lavoro, derivanti dalla crescente industrializzazione del Paese. E l'anno dopo, nel 1899, veniva assicurata la tutela della integrità fisica del prestatore d’opera con il “Regolamento generale per la prevenzione degli infortuni (R.D. 18 giugno 1899, n. 230)”.
Purtroppo restavano esclusi dalla disciplina prevenzionistica tutto il settore del commercio, la maggior parte delle piccole imprese industriali e l’intero settore dell’agricoltura.
La vicenda di cui stiamo parlando si svolge a Roma tra fine Ottocento e primi del 900.
La situazione a Roma nel primo Novecento
Roma era diventata capitale d'Italia nel 1871 e in cinquant’anni, dal 1861 al 1911, l’industrializzazione del Paese, sia pur limitata per lo più ad alcune zone del nord e delle regioni centrali, consentì all’Italia di partecipare al movimento espansivo dell'economia europea. I progressi dell'Italia sono innegabili.
A Roma però la situazione era diversa.
I nuovi governanti avevano infatti trovato una situazione di arretratezza nello stato governato da pontefici.
Certamente c'era laboratori artigiani, piccole officine, ma la precarietà delle condizioni di lavoro era grande, anche se la situazione economica stava migliorando in conseguenza degli investimenti voluti dalla nuova classe al governo, soprattutto per quanto concerne l'edilizia, settore trainante nella città che era diventata capitale d'Italia e quindi doveva espandersi.
Stornelli romani
Lo stornello romano è una forma di canto popolare, spesso con delle rime. Nei primi anni dell'Ottocento se ne scrivono moltissimi, tutti di elevato livello. Inizialmente lo scopo dello stornello è il contenuto amoroso, poi si vira verso lo "sfottò", la presa in giro, insomma la satira tanto diffusa tra i romani..
Gli stornelli si inseriscono nel panorama della musica popolare italiana, che diviene lo strumento per eccellenza della creatività romana.
Nati spesso dall’improvvisazione e dall’estro del momento, venivano cantati nelle osterie, ma anche dalle donne da balcone a balcone e dai carcerati di Regina Coeli.
Lo stornello romano, di solito breve e immediato, viene poi ripreso e tramandato dai cantori di strada, dai carrettieri o venditori ambulanti.
Ma è nell’Italia del dopoguerra e dei vari festival della canzone, ai quali partecipano cantanti, nel cui repertorio troviamo gli stornelli, che questo tipo di espressione popolare romana acquista fama e grande diffusione in tutt’Italia.
Capanna, invalido e disoccupato inventa un personaggio di successo
Tornando a Pietro Capanna c'è da dire che si ritrovò ad affrontare la difficile situazione di invalido e disoccupato!
Ma come si sa la necessità aguzza l'ingegno e per sbarcare il lunario si inventò un nuovo...lavoro.
Capanna cominciò a fare il suonatore ambulante di chitarra e cantastorie fuori dalle osterie. Cantava stornelli per lo più di sua invenzione, sulla linea delle tradizione popolare romana.
Capanna, ultimo autentico interprete di desideri e umori popolari, andava in giro per
le strade, si fermava nelle osterie spesso insieme alla sua compagna, cantava riferendosi alla cronaca locale.
Non solo... il suo spirito corrosivo aveva toni critici verso gli amministratori della cosa pubblica.
Così la precaria situazione economica del momento e, più tardi, la non meno precaria situazione politica trovano spazio nei suoi versi corrosivi.
Il cantastorie Capanna non trascurava alcun aspetto della vita pubblica cittadina e nazionale: tutto poteva denunciare con la sua vena poetico-musicale davvero sorprendente.
Non solo... il suo spirito corrosivo aveva toni critici verso gli amministratori della cosa pubblica.
Così la precaria situazione economica del momento e, più tardi, la non meno precaria situazione politica trovano spazio nei suoi versi corrosivi.
Il cantastorie Capanna non trascurava alcun aspetto della vita pubblica cittadina e nazionale: tutto poteva denunciare con la sua vena poetico-musicale davvero sorprendente.
La satira del Sor Capanna
La novità dei suoi stornelli era costituita dunque dalla satira che c'era nei suoi versi.
Si ispirava ai fatti di cronaca, lanciando sferzanti satire contro i personaggi della politica e i dettami della moda, con un po' di licenziosità.
Andava in giro per le strade e a pranzo e cena entrava nelle taverne cantando, con una piccola compagnia di artisti di avanspettacolo ed arte varia che gli faceva da spalla, che in città si muoveva servendosi di un pittoresco carrozzone trainato da un cavallo (Pantalone).
Era apprezzatissimo.
Anche il look era azzeccato, il paio di occhiali scuri diventeranno famosi come "segno di riconoscimento".
Il successo per le sue semplici strofe fu tanto grande tanto da essere stampate su biglietti e cartoline andavano a ruba.
Intanto si era sposato con Augusta Sabbatini, che diventerà il suo braccio destro, guidandolo negli spostamenti.
L'apice del successo viene raggiunto nei primi anni del '900, quando importanti tematiche politiche (Guerra di Libia, Prima Guerra Mondiale, ecc.) offrono all'autore nuovi soggetti verso i quali arrotare la sua tagliente vena satirica.
Capanna e Petrolini
Nel 1913 viene portato sul palcoscenico della Sala Umberto da Ettore Petrolini, allora stella nascente, che lo presenta come "il suo maestro".
Sor Capanna inciampa però sempre più spesso nelle maglie della censura, tanto da essere fermato dalla polizia e subire varie volte il sequestro del suo strumento di lavoro.
Logorato da una vita dura, nell'ottobre 1921 Pietro Capanna è colto da infarto mentre si esibisce. Ricoverato, muore pochi giorni dopo, a soli 56 anni, lasciando dietro di sé non il solo repertorio delle sue strofe, pur cospicuo, ma un vero e proprio solco artistico, di cui in seguito seppero approfittare vari altri autori, alcuni dei quali poi divenuti a loro volta celebri.