Roma sparita

30 giugno 2022

Roma sparita. Il "lago di piazza Navona"

Antonio Joli
Il lago di piazza Navona
Il 23 giugno del 1652 papa Innocenzo X inaugurò la consuetudine di far allagare per far divertire e rinfrescare i Romani durante la calura estiva una delle piazze più belle di Roma : Piazza Navonadove si affacciava il palazzo di famiglia : i  Pamphilj.
Di questo papa, così legato a sua cognata la temibile Olimpia Maidalchini abbiamo già parlato qui >>

E non finì tutto dopo la conclusione del suo pontificato, ma per circa due secoli, a partire da quell’anno, nei sabati e domeniche di agosto piazza Navona si trasformava in un lago. 
Ovviamente il fondo della piazza era diverso, in quanto ora la piazza ha un andamento convesso, datole dalla pavimentazione realizzata dopo il 1870. Prima  invece era concava e questo permetteva l’allagamento. 
L’evento coinvolgeva tutti i ceti sociali: i nobili con le loro splendide carrozze, e i popolani.
I racconti...
Molti fatti curiosi accaduti, vennero ingranditi nella memoria popolare e tramandati dalle cronache dell’epoca fino a tramutarsi quasi in leggenda. 
La piazza spesso era teatro di vere e proprie gare di invenzioni e sfarzo che coinvolgevano le famiglie aristocratiche, che talvolta facevano teatralmente “solcare le acque” da calessi a forma di gondole o navi di legno e cartapesta, alcune con vele e rematori. 
L'acqua attirava bambini e popolani che si immergevano per fare il bagno, giocare e fare scherzi, dopo essersi spogliati, tanto che un editto proibì di denudarsi per entrare in acqua. 
Un cronista racconta che nel 1717 alcune dame "forse scaldate dal vino, spogliatisi si tuffarono in quelle acque" rischiando anche di affogare senza il pronto intervento di alcune persone gettatesi in acqua vestite. Si racconta anche del cavallo di un marchese che vi sia affogato, perché gli rimase incastrata una zampa in una buca. 
Fatti come questi, descritti con parole esagerate hanno alimentato la leggenda, alquanto inverosimile perché contrasta con tutte le stampe dell’epoca, che l’acqua potesse raggiungere in almeno un punto quasi l’altezza di un uomo, un metro e oltre
Sicuramente, invece, data la struttura della piazza e i livelli del basamento delle fontane e dei palazzi, l’altezza dell’acqua poteva difficilmente superare i 50 centimetri.  

Un altro cronista narra invece che nel 1730 il figlio del re d'Inghilterra si divertisse a gettare monete nell'acqua per vedere i ragazzini buttarsi in acqua vestiti facendo a gara per ripescarle. Un po’ come più tardi sarebbe accaduto nella Fontana di Trevi. 

Pericolo zanzare
Una prima sospensione del lago avvenne nel 1676: si temeva che generasse l"aria cattiva", di cui parla G.G. Belli in un sonetto (leggi qui)
foto di piazza Navona allagata
nell'Ottocento
In ambito medico una prima intuizione sulla zanzara come trasmettitore della malaria era stata prefigurata da Giovanni Maria Lancisi (1654-1720). Medico papale e professore alla Sapienza, Lancisi nel suo De noxiis paludum effluviis, eorumque remediis (1717) distingueva gli effluvi miasmatici in inorganici e animali, tra cui le zanzare che introducevano con il morso “un liquido velenoso” nei vasi sanguigni.  La soluzione avanzata era quindi una bonifica idraulica, attraverso il prosciugamento di stagni e paludi
Si rifesce l'allagamento nel 1703, in onore della regina di Polonia in visita a Roma, dopo che il medico privato del papa, il citato Lancisi, aveva dichiarato che non vi erano pericoli per la salute
Anzi proprio in quell'occasione il principe Pamphilij entrò in acqua con un maestoso calesse a forma di gondola dorata. 
Fino alla seconda metà dell’Ottocento.
Il lago proseguì quale spettacolo popolare, luogo di incontro, corteggiamento, ma anche comoda occasione data ai cocchieri per rinfrescarsi e lavare le proprie carrozze. 
G.P. Pannini - Il lago di piazza Navona
Andò però via via perdendo la sontuosità, e rimasero soltanto gli spettacoli delle bande militari e dei pompieri. L'ultimo allagamento di cui si ha notizia venne effettuato nel 1865. 
Le immagini
Alcune immagini documentano questa meraviglia.
La prima è il dipinto di Giovan Paolo Pannini (Piacenza1691 – Roma1765) che ritrae il cosìddetto lago : tutto è ordinato, il popolo fa da cornice al lago solcato da poche carrozze.

vedi Immagine in alto- Un altra bellissima veduta del lago di piazza Navona, è quella dipinta da Antonio Joli (Modena, 13 marzo 1700 – Napoli, 29 aprile 1777), che è stato un pittore e scenografo italiano, esponente del Vedutismo.  
Giuseppe Vasi
Qui la piazza è molto affollata di carrozze e cavalieri, mentre il popolo se ne sta prudentemente ai lati....
Non poteva mancare una bella  litografia di Giuseppe Vasi (Corleone, 27 agosto 1710 – Roma, 16 aprile 1782)  
e anche un'altra litografia
Félix Benoist 
con parecchie figure femminili e maschili che si godono la magia dell’acqua, di Félix Benoist (1818, Saumur – 1896, Nantes), pittore francese e litografo. Alcuni suoi lavori sono conservati nel Pushkin Museum a Mosca.

Racconta Zanazzo..

Tutti i sabati e le domeniche d'agosto, si otturava
la chiavica della fontana in mezzo a piazza Navona, e la piazza che era fatta a scendere, si allagava tutta.
Che bel divertimento!La mattina ci si andava in carrozza, o con la carettella (piccola carrozza). Zanazzo ricorda di esserci andato con il padre a sguazzare nell'acqua per sciacquare le ruote infangate della carrozza, quando ritornavano dalle grotte di Testaccio. La domenica dopo pranzo poi, in un grande palco piantato sotto palazzo Doria-Pamphilj, fra il portone di Sant'Agnese c'era la banda dei pompieri che suonava tante sonate per rallegrare la gente. Intorno al lago c'erano una gran quantità di cocomerari che strillavano: "Correte , pompieri, che va a fuoco". E poi i venditori di mosciarelle, di bruscolini, di mandorle; ragazzini che si prendevano a spinte e si buttavano nell'acqua; gente che per scherzo schizzava acqua in faccia: urla,strilli, risate da non dire, ecco che cos'era il lago di piazza Navona.


28 giugno 2022

29 giugno - La Girandola, Castel sant'Angelo e la festa di san Pietro e Paolo.

Lo spettacolo pirotecnico noto come Girandola fu messa in scena a Castel Sant’Angelo a partire dalla prima metà del Cinquecento, secondo uno schema sostanzialmente costante che perdurò fino al XVIII secolo. 

Origini lontane Nato nel lontano 1481, durante il pontificato di Sisto IV (Francesco della Rovere 1471-1484),  il grande spettacolo di fuochi d’artificio, fu organizzato il 29 giugno principalmente per la festa  dei Santi Pietro e Paolo, patroni di Roma .
In queste occasioni la stessa struttura architettonica di Castel Sant’Angelo diveniva fulcro dell’apparato pirotecnico. 
I fuochi iniziavano dai torrioni laterali per concludersi con il grande fuoco centrale, nella parte più alta della struttura. 

La girandola ha colpito l'immaginazione dei moltissimi spettatori ed è stata raccontata anche nelle pagine di Charles Dickens e nei sonetti di Gioacchino Belli (La ggirànnola der 34 ), immortalata nelle stampe di Piranesi e nelle opere dei grandi pittori del passato.  
festa della Girandola a Castel Sant’Angelo 
(G. Lauro,
acquaforte, 1624

 (Museo di Roma, Palazzo Braschi)**.

La Girandola si faceva per ogni occasione.
"La Maraviglia del Tempo", anche così era chiamata, nasce a Roma nel 1481 per volontà di Papa Sisto IV e, da quel momento in poi, viene utilizzata per celebrare i principali eventi e festività religiose dell’anno:  come la Santa Pasqua, la ricorrenza dei Santi Pietro e Paolo e l’incoronazione del nuovo Papa, addirittura per i loro compleanni, e per le venute dei principi.
Possiamo dire che ogni occasione era buona...
Questo singolare “prisma  pirotecnico” era un unicum nell’arte dei fuochi d’artificio e richiamava spettatori da tutta Europa, di ogni nazionalità e ceto. 
Tradizionalmente attribuita a grandi artisti come Michelangelo Buonarroti (quando lavorava per Giulio II), sicuramente migliorata e rielaborata da Bernini, andò in pensione nel 1861 dopo quasi quattro secoli.
Non si trattava di un semplice fuoco d’artificio, ma la Girandola era un evento che richiamava spettatori da tutta Europa, un appuntamento dove accorrevano stranieri di ogni grado e ceto sociale. 
Nel 1851 la girandola viene trasferita sul piazzale del Pincio.

La Girandola oggi 
Franz Theodor Aerni-La Girandola
A CastelSAngelo (Museo di roma)
1874-80
Da qualche anno, questa bella tradizione è stata ripresa e si avvale della  tecnologia per l’accensione dei fuochi. In passato servivano 100 uomini, oggi  18 tecnici e un progettista sono in grado di fare – in tutta sicurezza – il lavoro. Scrupolosamente fedeli all’antica Girandola sono le miscele dei fuochi, per garantire la brillantezza e i colori del Rinascimento. Il tutto, con tecniche complesse e grandiose come quelle del passato: 5 punti di partenza dei fuochi, oltre 400 “accelerazioni”, 600 tra “candele romane” e “fontane falistranti”.

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**L’acquaforte, eseguita dall’incisore Giacomo Lauro attivo a Roma dal 1583 al 1645, riprende lo spettacolo con una prospettiva frontale dalla piazza di Ponte. L’incisione assume particolare valore nella documentazione del torrione costruito da Alessandro VI (Rodrigo Borgia 1492-1503), poi demolito nel 1628 da Urbano VIII (Maffeo Barberini 1623-1644), evidente oltre il ponte Sant’Angelo, ancora decorato dalle sole statue dei Santi Pietro e Paolo

24 giugno 2022

Roma sparita. Il caldo estivo e i rimedi per la malaria


Gianicolo, fontanone 
dell'acqua Paola
(G.Van Wittel)
Il piacere di stare all'aria aperta d'estate a Roma sparita nelle ore del tramonto e della sera era ..rischioso per la salute!! 
Residenti, stranieri, e viaggiatori sapevano tutti che era imprudente trattenersi nelle belle e profumate serate estive fuori, all'aperto..
Ma che fare se il caldo dei mesi di luglio e agosto diventava calor febbrile, cioè faceva così caldo da alzare la temperatura corporea ?
Si credeva che un segno che l'aria dell'estate romana non era buona era l'assenza delle mosche. 
Se l'aria non era buona per le mosche figuriamoci per i cristiani!! 


Il problema dell'Agro Romano
Roma nel 1870, in quanto sede della monarchia e della corte, del governo e degli organi centrali della burocrazia si avviava ad essere oggetto d’una massiccia trasformazione edilizia e urbanistica. 
C'era però anche un annoso problema da risolvere: intorno alla città si estendeva una landa desolata e semideserta: l'Agro romano.
Si trattava di un immenso territorio fatto di pascoli e boschi infestati da stagni paludi, interrotto da pochi seminati e da una fascia di vigne ed orti dentro la città. 
Era un territorio insalubre, infestato dalla temibile malaria. 
Questi luoghi inospitali erano famosi anche per le scorrerie dei briganti che vi dominavano incontrastati.

L'Agro Romano è il vasto territorio intorno a Roma, con una superficie di oltre 212.000 ettari, che fino alla bonifica era pressocchè disabitato perché infestato dalla malaria
Era diviso in 362 latifondi, e la proprietà più estesa era della famiglia Borghese con 22.000 ettari, seguìta dal Capitolo di San Pietro e dall'Ospedale di Santo Spirito. I terreni, salvo poche eccezioni, non erano condotti dai proprietari, ma dati in fitto ai cosiddetti mercanti di campagna, categoria imprenditoriale di grande intraprendenza che provvedeva direttamente alla gestione delle aziende ricavandone proventi considerevoli e corrispondendo ai proprietari un utile fisso che permetteva loro di vivere senza preoccupazioni.
A partire dal 1884, dopo una ponderata e seria valutazione tecnico scientifica delle diverse possibilità d’intervento sulla difficile e pericolosa situazione, si decise la realizzazione di una serie di canali che avrebbero consentito il deflusso delle acque stagnanti con cui le paludi furono ridotte.

La malaria nell'Agro romano
Sin dal medioevo la malaria a Roma, e nel suo distretto, mieteva un alto numero di vittimee il più noto e attrezzato ospedale della città, il Santo Spirito, accoglieva ogni anno migliaia di “uomini febbricitanti”. 
Scarsissima la popolazione che ci viveva, così descritta:"uno stato di vita quasi selvaggio, vitto scarso e cattivo rendono miserabilissime le condizioni di vita della campagna romana".
Se Roma non fosse diventata capitale del Regno, difficilmente il problema
della malaria sarebbe stato affrontato sin dagli inizi degli anni Settanta dell'800.

La malaria
particolare dell'Agro romano
Le febbri malariche erano molto diffuse nella popolazione: particolarmente fra gli operai e i braccianti agricoli, che erano costretti a lavorare all’aria aperta nelle campagne dell'Agro durante la stagione estiva.
La malaria, termine che deriva dall'italiano 'mala aria' ed è stato adottato nella letteratura medica internazionale, è una malattia febbrile ed acuta,  trasmessa agli esseri umani attraverso la puntura delle zanzare di solito tra il tramonto e l'alba.
Il quadro clinico della malaria esordisce acutamente con febbre accompagnata da brividi e sudorazione; la febbre decorre inizialmente in modo irregolare e solo dopo una settimana tende a ripetersi con accessi periodici, distanziati tra loro di 48 ore (malaria terzana) o di 72 ore (malaria quartana).

Rimedi popolari per curare la febbre
Per affrontare le febbri provocate dalla malaria, potevano mancare i consigli delle comari romane? 
Uno dei rimedi consigliati, e riportato da Zanazzo,  consisteva nel mettere in una pentola bella grande due boccali di acqua, e la buccia di una diecina di limoni romaneschi. Si dovevano far bollire fino al consumo dell'acqua di circa la metà.
Quest'acqua si doveva poi imbottigliare e bere, nella dose di mezzo bicchiere la mattina e mezzo bicchiere a mezzogirono e mezzo bicchiere la sera.
Inoltre si doveva stare ben coperti, sudare e così si sarebbe guariti.

Contro le febbri terziane

Hebert, La malaria
Per le febbri che colpivano gli ammalati ogni 48 ore, si consigliava di bollire in una pentola bella grande due boccali e mezzo di acqua, due libbre di  salvia, una libbra di rosmarino. Si doveva anche in questo caso ridurre i liquidi della metà.
Quindi andava filtrata, imbottigliàta, e bevuta la mattina a diggiuno, e come si diceva a Roma saprita: non si doveva avere paura di nulla....

Contro le febbri quartane
Contro la malaria quartana , che veniva ogni 72 ore si procedeva come per le febbri terziane, sortanto che invece di metterci l’acqua nella pentola ci si dovevano mettere due boccali o tre di vino buono. Quindi si doveva bere: mezza fojetta (1) la mattina, mezza a mezzogiorno, e mezza la sera; fino  a completa guarigione.. 

Anche Gioacchino Belli conosceva l'aria cattiva di Roma...
Una conferma dell'aria cattiva che si respirava a Roma, nei caldi mesi di luglio e agosto, è in un sonetto del poeta Giuseppe Gioacchino Belli intitolato appunto L’aria cattiva scritto il 5 giugno 1845. 

Belli invita, con grande impeto, i forestieri ad andarsene per paura del caldo, e delle epidemie che spesso si portava dietro.
Belli si conosceva il terribile colera che quasi 10 anni prima gli aveva portato via via la moglie Mariuccia.

L’aria cattiva

Scappate via, sloggiate, furistieri:
fora, pe ccarità, cch’entra l’istate.

Presto, fate fagotto, sgommerate,
ché mmommó a Rroma sò affaracci seri.

Nun vedete che ppanze abburracciate?
che ffacce da spedali e ccimiteri?
Da cqui avanti, inzinenta li curieri
ce mànneno le lettre a ccannonate.

Si arrestate un po’ ppiú, vve vedo bbrutti,
ché cqui er callo è un giudizzio univerzale:
l’aria de lujj’e agosto ammazza tutti.

Pe ppiú ffraggello poi, la ggente morta
séguita a mmaggnà e bbeve, pe stà mmale
e mmorí ll’ann’appresso un’antra vorta.


[Versione

Scappate via forestieri, 
fuori per carità che entra l'estate
: fuori, preparate i fagotti, sgomberate, 
che adesso a Roma sono affari seri. 

Non vedete che pance gonfie ? 

che facce da ospedali e cimiteri?
Da qui in avanti, i corrieri 
consegnano le lettere con il cannone.


Se restate un pò di più, vi vedo brutti, 
che qui il caldo è come il giudizio universale:
l'aria di luglio e agosto ammazza tutti.
Per maggiore flaggello poi, la gente sebbene sia quasi morta 
continua a mangiare e a bere, per star male
 e morire l'anno appresso un'altra volta]
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(1) Le misure utilizzate a Roma per il vino erano: il Sospiro o Sottovoce era un semplice bicchiere, corrispondente ad un decimo di litro; poi c’era il Cirichetto, cioè un quinto di litro, il Quartino, la classica Fojetta da mezzo litro e il Tubbo, un litro. La caraffa da due litri veniva invece chiamata Barzilai, dal nome di un politico romano di fine ‘800, inizio ‘900, che usava offrire vino in gran quantità ai suoi elettori.

23 giugno 2022

23-24 giugno - La notte delle streghe a piazza San Giovanni

Il 24 giugno è la festa di San Giovanni Battista,  patrono  di Roma. 

E a Roma sparita era festa grande.
La festa aveva inizio la notte precedente, il 23 giugno, la famosa « notte delle streghe»
Religione e superstiz+]ione si intrecciavano in questo ricorrenza molto sentita dal popolo romano.
La notte più breve dell'anno
Quella fra il 23 e il 24  giugno è la notte più breve dell'anno, in quanto  comincia l’estate, Il solstizio d'estate il sole raggiunge la sua massima inclinazione positiva rispetto all’equatore celeste, per poi riprendere il cammino inverso. Tutte le leggende si basano su questo evento considerato magico e sacro nelle tradizioni precristiane ed ancora oggi viene celebrato dalla religiosità popolare con una festa.

Porta san Giovanni 
verso via Appia Nuova
(incisione di G.B. Piranesi, 1748)

La notte delle streghe 
Secondo le tradizioni popolari, si credeva che le streghe, in quella notte magica, si dessero appuntamento nei pressi della basilica per un  grande Sabba e andassero in giro per la città a catturare le animeLe streghe venivano chiamate a raccolta dai fantasmi di Erodiade e Salomè, dannate per aver causato la decapitazione di san Giovanni.
Anche il poeta romanesco G.G.Belli ne parla in un sonetto intitolato San Giuvan-de-ggiuggno
[clicca qui ....] 


Riti per tenere lontane le streghe
Curiosando nei testi di Giggi Zanasso. Durante quella notte magica, venivano fatti falò per tenere lontano il male. 
Parecchi poi erano i rituali seguiti contro le streghe
E le comari di Roma sparita raccontavano che se la strega voleva entrare doveva prima contare tutti gli zeppi della scopa o i grani del sale. 
G. Vasi, Basilica di San Giovanni 
(sec. XVIII)
E se sbagliava doveva ricominciare da capo!!
Anche la croce era un elemento che spaventava le streghe, che in alternativa utilizzavano la cappa del camino.. e allora anche qui si faceva la croce con le molle e la paletta incrociate, oppure si otturava.
La paura delle streghe era infatti tanta.. e così insieme a lanterne e torce,il popolo si portava dietro bastoni fatti a forcina, scope, teste d'aglio e quelli che potevano si profumavano con la spighetta cor garofoletto.
Prima della festa, si andava in parrocchia a prendere una boccia d'acqua santa appena preparata: perchè ai tempi di Roma sparita l'acqua santa aveva una scadenza: quella stantia non era più buona !!
Con quest'acqua, prima di uscire da casa ci si doveva benedire i letti, la porta e la casa stessa.

Prima di dormire poi si diceva due volte il Credo, e ogni parola si doveva replicare per due volte. Io credo, io credo, in Dio padre, in Dio padre, ecc., e così per le altre preghiere..
Si credeva che questo doppio credo era veramente il massimo per tenere lontane le streghe.

Le donne protagoniste della festa
Roma nell'Ottocento - venditori di lumache
a piazza san Giovanni
E in passato le vere protagoniste della festa erano le donne, spesso vestite con abiti maschili che, in quanto colpevoli del martirio del santo, non potevano entrare nella basilica e si fermavano davanti alla basilica provocando gli uomini e chiedendo loro una "mancia". 

Era un'occasione per mangiare le lumache 
Si partiva in massa da tutti i rioni di Romaal lume di torce e lanterne, per arrivare a San Giovanni in Laterano per pregare il santo, ma anche per mangiare le lumache nelle osterie e nei baracchini allestiti sulla piazza appositamente per questa festa. 
Le lumache avevano un significato simbolico, poichè le loro corna
rappresentavano discordie preoccupazioni, quindi mangiarle significava distruggere le avversità. 
E a proposito delle lumache ...c'era anche chi se le portava cucinate da casa, perchè non si fidava dello spurgo che facevano gli osti romani. 
Come di consueto nelle osterie di Roma sparita, si serviva anche  solo il vino mentre il cibo veniva prima cucinato in casa (chi non conosce ancora oggi le famose fraschette dei Castelli romani!!!). 
Sempre Zanazzo ci racconta di un altro luogo di incontro fuori porta san Giovanni, nei pressi della fonte dell'Acqua santa sulla via Appia, alla Salita degli Spiriti,era l'osteria delle Streghe dove si andava a cenare.
E la cena spesso finiva con pesanti litigi, in quanto gli osti riciclavano gusci di lumaca, cioè gusci vuoti, il cui contenuto era stato già mangiato dai clienti venuti prima....

A pranzo coi parenti per fare pace.
Altra tradizione, che perdurava anche al tempo in cui scrive Zanazzo, era quella di fare un pranzo, il giorno di san Giovanni, fra i parenti con i compari e le commari, anche per fare in modo che se c'era un po' di ruggine fra di loro, si potesse fare pace con una buona mangiata di lumache.

E.F.Roesler
 L'alba alla festa di san Giovanni.
La festa in piazza san Giovanni in Laterano
Per la festa l'imponente piazza San Giovanni si riempiva di tantissima gente, si mangiava e si beveva in abbondanza e soprattutto tanto rumore invadeva questi luoghi: trombe, trombette, campanacci, tamburelli e petardi di ogni tipo venivano suonati per impaurire le streghe, affinché non potessero cogliere le erbe utilizzate per i loro incantesimi. 
Tutto ciò costituiva un problema per l'ordine pubblico e così le autorità vietarono spesso di andare nei luoghi disabitati (ad es. Monte Testaccio) mentre, veniva consentito il bagno al Tevere, per le proprietà taumaturgiche date dal santo alle acque. 
Tutto questo baccano durava fino all'alba. 
Allora la festa si concludeva, quando dopo lo sparo del cannone di Castello, il papa si recava a San Giovanni per celebrare la messa, e dalla loggia della basilica gettava monete d’oro e d’argento, scatenando così la folla presente.

20 giugno 2022

Superstizioni popolari: le streghe

Nel mondo di Roma sparita legato alle credenze popolari, al malocchio, alle superstizioni si temeva anche il potere delle  streghe..e soprattutto le loro fatture. 
Anticamente, tutte le volte che il papa pontificava a San Pietro o in qualche altra delle sette basiliche, mandava una maledizione speciale contro le streghe, gli stregoni e i fattucchieri.
Il testo della maledizione era scritto sopra un foglio di carta; e dopo averlo letto, il papa stracciava il foglio e lo buttava in chiesa in mezzo alla folla.
Si scatenava, come dire, l'inferno...(in chiesa!!). Infatti per impossessarsi di quei pezzi di carta il popolo faceva a spinte, a pugni, colpiva con i tuzzi (doppio colpo dato prima con le dita e poi col polso)..

Le leggende. Era diffusa anche a Roma sparita la credenza di Benevento  e del noce. Si credeva cioè che le streghe si radunassero il sabato a Benevento sotto un albero di Noce, divenuto famoso.
Leggenda molto antica e addirittura di epoca longobarda (VII secolo).   
Sotto il dominio del duca Romualdo era solito svolgersi un rito singolare nei pressi del fiume Sabato che i Longobardi celebravano in onore di Wotan, padre degli dei: veniva appesa, ad un albero sacro, la pelle di un caprone; i guerrieri si guadagnavano il favore del dio correndo freneticamente a cavallo attorno all'albero colpendo la pelle con le lance, con l'intento di strapparne brandelli che poi mangiavano. In questo rituale si può riconoscere la pratica del dio sacrificato e fatto a pezzi, che diviene pasto rituale dei fedeli. Le riunioni sotto il noce,  provengono quindi molto probabilmente da queste usanze longobarde.
Frans Hals,
 
Malle Babbe, la strega di Haarlem
Un altra leggenda vuole che le streghe, indistinguibili dalle altre donne di giorno, di notte si ungessero le ascelle (o il petto) con un unguento e spiccassero il volo pronunciando una frase magica, a cavallo di una scopa di saggina. Contemporaneamente le streghe diventavano incorporee, spiriti simili al vento: infatti le notti preferite per il volo erano quelle di tempesta. Si credeva inoltre che ci fosse un ponte in particolare dal quale le streghe beneventane erano solite lanciarsi in volo, il quale perciò prese il nome di ponte delle janare.
A Roma sparita poi, la strega si identificava con la suocera.

Comportamenti e proverbi per tenere lontane le streghe. Le comari romane stavano molto attente quando si pronunciava la parola strega
Infatti per non farle arrivare subito si dovevano incrociare le gambe perchè le streghe hanno paura della croce .
C'era anche un metodo più sbrigativo per tenerle lontane. Parlando delle streghe si doveva dire: «Oggi è sabato, a casa mia!» .
Il sabato le streghe non possono andare in giro  perchè si radunavano sotto alla Noce di Benevento; e dunque dicendo così si prendevano in giro.
Perchè il martedì e il venerdi non si può partire nè tantomeno sposarsi cone recita un  proverbio giunto sino a noi : Né di Venere , né di Marte non ci si sposa e non si parte.
Semplice per scongiurare il pericolo  di incontrarsi per la strada con le streghe in viaggio per Benevento, che avrebbero potuto fare una fattura o qualche brutto scherzo.  

La fattura.
Le streghe (P.Bruegel)
Le streghe si potevano nascondere quindi sotto la sembianza di qualunque donna. Un metodo suggerito dalle comari di Roma sparita per sapere chi aveva fatto la fattura era quello di mettere tutti gli abiti della persona stregata in un callaro, cioè di un  grosso paiolo di rame  pieno d’acqua e metterlo a bollire sul fuoco. Quando il callaro bolliva, come per magia la persona da cui era partita la fattura si sarebbe presentata a casa. 
Altro metodo era quello di prendere un piatto e buttarci dentro un pò d'acqua. Poi ci si doveva versare tre o quattro gocce d'olio. Se l'olio si spandeva era un segnale positivo, se invece l'olio non si spandeva era segno che la fattura era stata fatta. Ma come sappiamo tutti l'olio galleggia nell'acqua e non si mischia con essa!!!
Precauzioni contro le fatture.
Si doveva stare bene attenti ad alcuni elementi che servivano per fare le fatture. Soprattutto i capelli!!!
Quando ci si pettinava o ci si tagliava i capelli, si doveva infatti seguire qualche precauzione. Ci si doveva sputare tre volte sopra, oppure raccoglierli, buttarli nel gabinetto e pisciarci sopra. Per certe fatture bastava tenere sotto il letto un treppiede.

Il cuore. 
Le comari, e le lavandaie romane consideravano pericoloso trovare per terra un cuore con le spille appuntate. Fino a quando tutte le spille non si sarebbero consumate, sarebbero durate le pene delle persona cui si rivolgeva la fattura.
Pezzetto di pane. 
Un'altra fattura si faceva con l'ultimo pezzetto di pane che lasciava a tavola la persona che si voleva affatturare. Il pane infatti si doveva infilare in uno zeppo insieme a un rospo.
Il rospo, poveraccio, infilzato si sarebbe agitato, avrebbe cercato di rivoltarsi, riducendo il pane in briciole. Col pane si sarebbe alimentato, e  una volta finito sarebbe morto.  Così con lui sarebbe morta la persona affatturata.
Le fatture però valevano se fatte da streghe, stregoni e fattucchieri che avevano come Dio il demonio.
Calzette o pedalini. 
Si doveva prendere una calzetta o un pedalino (così si chiamano a Roma i calzini), indossato dalla persona  a cui si voleva fare una fattura. Si metteva in una vaschetta piena d'acqua e si lascia inzuppare di acqua (infracicare) .
Quando il pedalino o la calzetta si erano inzuppati al punto di cadere a pezzi, allora la persona che si voleva affatturare sarebbe morta. 

Il rospo sotto il mattone. Si doveva mettere un rospo sotto un mattone, e 
fargli mangiare i capelli della persona cui si voleva fare la fattura. 
Qunado il rospo aveva finito di mangiare i capelli, schiattava  e insieme a lui sarebbe morto la persona affatturata. 


venditori di lumache
a San Giovanni
La notte delle streghe a San Giovanni.  Il tema delle streghe ritorna in occasione del 24 giugno, festa di San Giovanni,  patrono  di Roma.  
La festa ha inizio la notte prima, la famosa « notte delle streghe»
Religione e superstizione si intrecciavano in questo ricorrenza molto sentita dal popolo. 
E' la notte più breve dell'anno. Il 21 giugno infatti comincia l’estate è il solstizio d'estate, quando il sole raggiunge la sua massima inclinazione positiva rispetto all’equatore celeste, per poi riprendere il cammino inverso.  
Tutte le leggende si basano su questo evento considerato magico. 
Questo giorno era considerato sacro nelle tradizioni precristiane ed ancora oggi viene celebrato dalla religiosità popolare con una festa , il 24 giugno, quando nel calendario liturgico della Chiesa latina si ricorda la natività di San Giovanni Battista.
Secondo le tradizioni popolari, si credeva che le streghe in quella notte magica andassero in giro per la città a catturare le anime.
A Roma, ma anche in altre realtà locali, era festa grande. Si partiva  da tutti i rioni di Roma, al lume di torce e lanterne, e il popolo si concentrava a San Giovanni in Laterano per pregare il santo e per mangiare le lumache nelle osterie e nelle baracche.
Le lumache avevano un significato simbolico, poichè le loro corna rappresentavano discordie e preoccupazioni, quindi mangiarle significava distruggere le avversità.
E.F.Roesler, L'alba alla festa di san Giovanni.
L' imponente piazza si riempiva di tantissima gente, si mangiava e si beveva in abbondanza e soprattutto tanto rumore invadeva questi luoghi: trombe, trombette, campanacci, tamburelli e petardi di ogni tipo venivano suonati per impaurire le streghe, affinché non potessero cogliere le erbe utilizzate per i loro incantesimi.
Tutto questo baccano durava fino all'alba. Allora la festa si concludeva,  quando il papa si recava a San Giovanni per celebrare la messa, e dopo dalla loggia della basilica gettava monete d’oro e d’argento, scatenando così la folla presente.