Roma sparita

28 maggio 2022

Roma sparita. Riti per l'Ascensione di Gesù.



Giotto-Ascensione di Gesù
La  festa dell'Ascensione di Gesù  si colloca di norma 40 giorni dopo la Pasqua.
In base a quanto narrato dal Nuovo Testamento, l'Ascensione è l'ultimo episodio della vita terrena di Gesù: questi, quaranta giorni dopo la sua morte e risurrezione, è asceso al cielo. 
Questa ricorrenza è celebrata in tutte le confessioni cristiane e, insieme a Pasqua e Pentecoste, è una delle solennità più importanti del calendario ecclesiastico.
A Roma sparita questa importante festa cristiana era caratterizzata da alcune credenze molto particolari.

Curiosando nei testi di Giggi Zanazzo. La vigilia dell'Ascensione veniva vissuta come un momento importante non solo per la tradizione cristiana, ma anche per la vita del popolino credulone, superstizioso e sempre in balia di eventi tragici e inspiegabili: malattie, disgrazie, catastrofi etc.
Così ogni occasione era buona per mettere in atto una serie di semplici gesti dettati dalle credenze popolari di cui le famose "comari" romane sapevano tutto.
La Maddonna andava in giro di notte.
Per una tradizione tramandata chissà da quando e da chi,  il popolo credulone doveva prendere un uovo fresco, metterlo un piccolo canestro, con dentro acceso un lumino, e ciò fatto depositarlo fuori della finestra all'aria notturna.

Si credeva infatti che la Madonna, nella notte,  andasse in giro qua e là e quando passava davanti alle case benedisse l'uovo.
Il giorno dopo si doveva prendere l'uovo, romperlo e dentro ci si sarebbe trovata cera vergine.
Questa sostanza diventava così miracolosa e si doveva conservare come una reliquia
Acquisiva infatti, non si sa come,  il potere di tenere lontani dalla casa i fulmini e le saette, e cosa ancora più importante tutte le disgrazie
E addirittura serviva anche a guarire le malattie!!

Erano tempi in cui ci si attaccava a tutte le superstizioni per allontanare da sè le disgrazie e le malattie!! 
Così importanti occasioni religiose erano accompagnate da una serie di riti e superstizioni cui il popolo credeva per allontanare la sfiga!!
Accanto al canestrello con l'uovo e il lume acceso,  fuori della finestra era in uso mettere anche un secchio d'acqua.
Ovviamente quest'acqua diventava benedetta, e  la mattina dopo, giorno dell'Ascensione, sarebbe stata utilizzata per lavarsi e si sarebbe dovuta bere. 
L'acqua che rimaneva si conservava, perchè era una mano santa per i dolori alle gengive e per tanti altri malanni.


25 maggio 2022

L'antico caffè del Veneziano a Piazza Sciarra

Il caffè più antico di Roma, aperto nel 1725, si trovava all'angolo di palazzo Sciarra, nell'attuale via del Corso.
Era situato dove attualmente c'è la sede della Cassa di risparmio di Roma a Palazzo Sciarra - via del Corso, 239 - rione Trevi.

Palazzo Sciarra.
Costruito verso la fine del XVI secolo per la famiglia Sciarra, su progetto dell'architetto milanese Flaminio Ponzio, conserva ancora le linee cinquecentesche. La facciata presenta un bellissimo portale, un tempo incluso tra “le quattro meraviglie di Roma" con balcone sostenuto da colonne doriche, attribuito in passato ad Antonio Labacco ed anche al Vignola.


Nel Settecento il cardinale Prospero Colonna promosse l’adeguamento del palazzo allo stile dell’epoca. Al rinnovamento architettonico e pittorico partecipò anche l’architetto Luigi Vanvitelli, amico del Cardinale, che ne progettò la ristrutturazione.
La Libreria domestica, la piccola Galleria, il Gabinetto degli Specchi, sono alcuni degli ambienti nati da questi interventi, che accrebbero il valore storico ed artistico del palazzo. 
Palazzo Sciarra
Tra il 1882 e il 1898, nell’ambito dell’allargamento del Corso, il Palazzo fu ridimensionato con la realizzazione del Teatro Quirino e della Galleria Sciarra. Passato successivamente attraverso vari proprietari, nel 1970 l’edificio venne definitivamente venduto alla Cassa di Risparmio di Roma.

Il Caffè 

Il caffè si componeva di tre stanze riunite con archi, sulla piazza (lo slargo che ospitava questo palazzo era diverso rispetto ad oggi), ed una sulla via del Caravita e di due camerini, uno nella stessa via ed uno interno, attraverso il quale si accedeva entrando nel cortile del palazzo, di proprietà dell' ospedale di S. Giacomo. Al caffè erano annesse, negli ammezzati, tante camere quante ne corrispondevano al pianterreno. Fino al 1800 la pigione che si pagava per tutti quei locali era di cinque scudi mensili
Ovviamente non esistevano le attuali macchine, il caffè si mesceva nel bicchiere, ed un solo cucchiaino serviva a tutti. Alle finestre ed alle vetrine non v'erano vetri, come spesso accadeva, ma impannate di cotone bianco.

I sedili erano canapè di legno impagliati, ed i locali erano illuminati la sera, fino massimo alle due di notte, con lampade di vetro a forma di cipolla sostenute da viticci di vetro e nelle quali ardeva un solo lucignolo. Sul bancone invece erano accese due grandi lucerne di ottone a quattro becchi, di quelle che ancora ricordano le forme etrusche.

G.Vasi, Palazzo Sciarra
nel sec. XVIII
Dopo il 1800 la pigione andò gradatamente aumentando, in guisa che nel 1868, quando fu chiuso, per tutti quei locali si pagavano cento scudi mensili di pigione.

La licenza

Nello stato pontificio l'apertura di un esercizio commerciale imponeva il rilascio di una patente, oggi si parlerebbe di una licenza. 
Nel caso del Veneziano la patente per l'esercizio non era intestata Caffè, bensì Acquafrescaio. Infatti nel locale si vendeva il caffè, ma sopra tutto si vendevano bibite di limone, di arancio e di acetosa ( bevanda fatta con acqua e infusione di aceto e zucchero).
Il caffè del Veneziano non era solo il più antico, ma forse l'unico di Roma in quei tempi; più tardi ne fu aperto un altro presso l'arco dei Carbognani, e in seguito vennero il Caffè degli Specchi a piazza Colonna; quello degli Scacchi al Corso, verso il palazzo Verospi, ora sostituito da un'oreficeria; quello detto del Greco, a via Condotti; il caffè delle Case Bruciate ed il Caffè Petracchi a San Carlo al Corso; uno a piazza di Spagna, detto Baiocco ; uno a Montecitorio, e così via via.
 Pianta del Nolli
(1747)
Particella 302


I proprietari
Il caffè fu condotto da principio dalla famiglia Napoleoni, romana, poi da un certo Casini e da ultimo dalla famiglia Ricci, che lo tenne per altri centoventi anni. Il nome di Caffè del Veneziano lo assunse nel 1745, quando ai Ricci si associò un Veneziano, che dalla città delle lagune portò in Roma gli usi veneziani, o, più tosto, orientali, intorno al modo di preparare e mescere il caffè, di cui l'uso a poco a poco divenne universale, sostituendosi in gran parte nelle alte classi della società alla cioccolata, e nelle classi inferiori, al vino ed all'acquavite. 

Lettura delle gazzette romane (1)
Come avveniva a Venezia, nel caffè del Veneziano s'introdusse l'uso di leggere le gazzette. Il più antico dei giornali di Roma era il Kracas (Diario), che aveva preso quel nome dal suo editore e che si pubblicò la prima volta il 5 agosto 1716 all'epoca dell'ultima guerra contro i Turchi combattuta da Giovanni Sobieski; le Notizie del Mondo, giornale che comparve in Venezia ed ebbe molto credito e la Gazzetta di Fuligno, diario settimanale che in breve acquistò molta diffusione. 
Ma il carattere speciale di questo caffè fu quello di essere il ritrovo di tutte le persone dell'alta società, degli uomini di spirito, delle dame eleganti che vi andavano unicamente a prendervi sorbetti, e degli abati che ad esse facevano la corte.
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1) Il caffè del Veneziano viene citato anche da G.G.Belli nel sonetto "Le notizzie de l’uffisciali", dove si parla del Cracas. La Stamperia del "Cracas e gabinetto de’ fogli" era proprio in Piazza di Sciarra.

15 maggio 2022

Roma sparita. Il 1° maggio, il ballo dei guitti e altri balli.



La festa del 1° maggio in europa nasce il 20 luglio 1889, e precisamente a Parigi. Durante il congresso della Seconda Internazionale, riunito in quei giorni nella capitale francese, nasce l'idea di organizzare una grande manifestazione in una data stabilita, che in seguito ricorderà l'impegno del movimento sindacale ed i traguardi raggiunti in campo economico e sociale dai lavoratori.
Una scelta simbolica: tre anni prima infatti, il 1 maggio 1886, una grande manifestazione operaia svoltasi a Chicago, era stata repressa nel sangue. 

Già prima di tutto questo, a Roma sparita maggio era un mese in cui i romani festeggiavano in allegria contagiati dall'arrivo della primavera. E  forse rimaneva un antico ricordo delle tradizione di roma antica legate alla primavera, al risvegliarsi della natura, alle feste legate al mondo rurale...che si festeggiavano a fine aprile -inizio di maggio.
Curiosando nei testi di Giggi Zanazzo.  In questo periodo dell'anno a Roma sparita c'era un appuntamento imperdibile il ballo dei guitti .
Si svolgeva proprio il 1 maggio vedeva una vasta partecipazione del popolo romano come sempre pronto a festeggiare e a divertirsi.
Madama Lucrezia

Ne parla  Giggi Zanasso definendola una  
festarella, che però già alla sua epoca, doveva essere solo un ricordo.
Il luogo stabilito per radunarsi e partecipare al ballo dei guitti era piazza San Marco davanti alla statua di Madama Lucrezia
Era questa una delle famose statue parlanti di Roma, che in occasione del 1 maggio veniva adornata con collane di aglio e cipolla, nastri di tutti i colori, carote.
Il ballo costituiva uno spettacolo molto divertente che rapidamente attraeva gente di tutte le categorie sociali.
La festa si svolgeva così. Prima di tutto i guitti mimavano un gioco simile a quello chiamato "a fà li sposi". Ogni uomo si doveva scegliere una donna qualunque come finta sposa, quindi ogni coppia, prima di cominciare a ballare, si presentava davanti a Madama Lucrezia e faceva finta di sposarsi, come se la statua fosse il sindaco o il curato. 
Poi davanti alla statua di madama Lucrezia si cominciava a ballare e si poteva veder di tutto..mendicanti, artisti di strada, tipi eccentrici che si agitavano quasi in un rituale dionisiaco.... 
Nonostante si trattasse del ballo di guitti, non c'erano soltanto miserabilima anche coppie che si fingevano tali.
B. Pinelli- Saltarello, 
ballo romano
E la folla che assisteva al ballo era affascinata proprio da queste coppie vistosamente addobbate  e formate da bellissime popolane del rione Monti, che destavano molta ammirazione negli uomini presenti. 
C'erano poi anche i veri guitti... coppie formate da sbandati, da mendicanti, da artisti di stradadonne con gambe a X, gobbi e gobbe. 
Che divertimento per il pubblico intorno vedere tutti questi sgorbi ballare il saltarello!! E non mancavano le coppie di vecchi bacucchi, di sciancati che si infervoravano anche loro a ballare, facendo boccacce e gesti strani che sembravano divertire anche la imperturbabile madama Lucrezia..Insomma risate a crepapelle!

Il Saltarello 
Wilhelm Marstrand,
Salterello,1869 (collezione privata)
Era la danza popolare tradizionale in voga a Roma nell’Ottocento, caratterizzata da movimenti rapidi e vivaci eseguiti con i piedi e con le braccia: alzate in alto, con le mani sui fianchi, prendendo il grembiule (per la donna) con una mano e agitandolo disteso davanti a sé con le due mani. Si ballava in due, al suono della chitarra o del tamburello, nelle osterie e all’aperto in occasione della fine di lavori agricoli come la vendemmia, la mietitura o la raccolta delle fragole. Caratteristica del saltarello era il passo saltato o bilanciato eseguito saltando ora su un piede ora sull’altro, sul posto o spostandosi in avanti e indietro oppure girando su sé stessi. Il salto era sottolineato da un colpo più deciso del tamburello.