Roma sparita

26 maggio 2018

Roma sparita - Riti magici per innamorati


E sull'amore a Roma sparita, le comari romane la sapevano lunga...
I consigli per risolvere le questioni fra innamorati erano, come al solito, dettati da credenze popolari, superstizioni etc. che si tramandavano da madre in figlia...
Da notare che i consigli si rivolgevano esclusivamente alle donne..e questo la dice lunga sulla condizione subordinata della donna in amore, e non solo.
I suggerimenti per le ragazze che litigavano col fidanzato (a Roma era usanza chiamare l'innamorato fritto).
e volevano far pace consistevano perlopiù nel recitare delle cantilene abbinate a piccoli riti. 
Una di queste consisteva nel mettersi alla finestra e aspettare la prima stella che appariva nel cielo. Quindi dire così:
«Stella der mare turchin celeste,
Fa cch’er core de chi mm’ama stii in tempeste:
Stii in tempeste tale che nun possi ariposà’,
Ni bbeve, ni mmagnà’,

E ssempre a mme ppossi pensà’».
[Versione «Stella di mare turchina celeste, 
fa che il cuore di chi mi ama stia in tempesta:
stia in una tempesta tale che non possa riposare, non bere, non mangiare, e sempre a me possa pensare»]

Dette queste parole, l'innamorata doveva fare attenzione ad alcuni avvenimenti...
Se si sentiva abbaiare un cane era segno che il ragazzo era fedele.
Se si sentiva fischiare un uomo, era segno di tradimento
Se si sentiva suonare una campana era segno che pensava a lei ... 
Il rituale continuava facendo un nodo al laccio del grembiule e dicendo tre Pater noster .

A volte si ricorreva alla fattucchiera (e il luogo dove fioriva questo tipo di attività era il ghetto di Roma). Con due fettucce, una bianca e una rossa, la fattucchiera faceva una treccia lunga lunga.  E dopo averla consegnata all' innamorata diceva : «Ogni otto giorni, sciogli un nodo da una parte e rifarlo dal'altra»  e rivolgendosi al diavolo in persona: «Diavolo agisci: sciogli l’odio e lega la pace».
E la maga, la fattucchiera ancora oggi è spesso una figura ricercata da chi soffre per amore e vuole legare a sé qualcuno con pozioni e riti magici  ...

Il nodo. A ben vedere, spesso questi suggerimenti delle comari romane  ruotavano intorno  alla simbologia del nodo inteso come metafora  del legare a sè la persona amata.
Un altro rito prevedeva che all'una di notte l'innamorata si affacciasse alla finestra, e , mentre annodava il fazzoletto, recitasse una cantilena:  «Un’ora bbatte, un’ora sôna,
Io sto ddrento, lui stà ffôra.
Vadi a llevante, vadi a pponente,
Vadi (er nome de’ regazzo) co’ ttanta ggente:
Che ffai? che ppensi? Indove vai?
— Vado da quella fattucchiera (er nome de la regazza).
Che mme fa ’na fattura potente e fforte
Che nu’ la possi lasciare fino a la morte»

[Versione. «Un'ora batte, un'ora suona,
Io sto dentro, lui sta fuori,
Vada a levante, vada a ponente,
vada (nome del ragazzo) con tanta gente:
Che fai ? Che pensi? Dove vai?
- Vado da quella fattucchiera (il nome della ragazza)
che mi fa una fattura potente e forte
che non lo possa lasciare fino alla morte»]
.
Quindi doveva legare il fazzoletto e dire: «In questo modo té voglio legare; come un Cristo té voglio incrociare , Ché nun me possi mai lasciare!»]
[Versione «In questo modo ti voglio legare;
come un Cristo ti voglio mettere in croce, affinchè tu non mi possa più lasciare».]

Il rito prevedeva poi che la ragazza buttasse una manciata di sale grosso per le scale; e infilasse un coltello sotto il tavolino da pranzo, lasciandolo lì fino a sera...I tempi previsti per questo rito erano stretti:un'ora in tutto.

Il coltello nella Roma sparita era un elemento fondamentale per gli uomini e anche per le donne. 
Appena una ragazza si metteva a fare l’amore, la prima cosa che regalava al suo ragazzo era proprio un coltello. Sulla lama spesso faceva incidere il suo nome : Nina, ’Nunziata, Rosa, Crementina, oppure: Amore mio, core mio, stella mia, pensiero mio. 
E risulta anche che a vendere i coltelli fossero, zitte zitte nei vicoli di Roma, proprio le donne romane.

Le serenate.  Altra tradizione importante nel mondo di Roma sparita erano le serenate fatte dall'innamorato alla sua bella.
Di notte, le strade all'epoca era quasi tutte al buio, in quanto mancava l'illuminazione e i lampioni erano rari come le mosche bianche. Buio pesto quindi soprattutto al rione Regola, Monti e per Trastevere.
Spesso nella notte buia o illuminata solo dalla luna,  una bella voce rompeva il silenzio cantando una tarantella accompagnata dal colascione *  o dal mandolino.
La serenata  era fatta da qualche giovanotto che stava in collera con la sua ragazza, e questa, a sentirlo cantare s’inteneriva e apriva la finestra per salutarlo. Allora la pace era fatta !
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 *Antico strumento musicale popolare a tre corde

20 maggio 2018

Roma sparita. La cura dei denti.

Un altro grave problema a Roma sparita era la cura dei denti. 
Per preservarli da qualunque malanno i rimedi indicati dalle comari, di cui si fidava Giggi Zanazzo, la soluzione era di sciacquarli mattina e sera con il piscio caldo. Si proprio così!!!
Questo liquido serviva anche a mantenerli bianchi e puliti.

Altro elemento che faceva bene ai denti era la polvere del pane abbrustolito, e anche la polvere di carbone, la cenere del sigaro e il bicarbonato in polvere.

Quando facevano male poi perchè erano cariati faceva bene metterci sopra un mozzicone di sigaro, oppure sciacquarsi la bocca con l'acquavite
Un altro rimedio che era considerato una manosanta era questo: si doveva prendere un osso di pesca, metterlo sulla cenere calda a riscardarlo e poi metterlo in bocca dalla parte del dente che doleva, e il dolore si calmava.
Un altro rimedio riguardava quella che si chiamava tignola dei denti, cioè le carie. In questo caso si doveva comprare un pentolino piccolo, e farci bollire un pò di radice di salvia, radice di ortica, e mezza fojetta di aceto buono
frate Orsenigo
Si faceva ridurre questo liquido alla quantità di mezzo bicchiere, e con questo ci si doveva sciacquare i denti e le carie sarebbero sparite...
Frate Orsenigo
In casi gravi, tutti però sapevano che ci si poteva recare all'Isola tiberina accanto alla chiesa di San Bartolomeo. Qui aveva aperto un ambulatorio un frate - dentista, detto cavadenti, che con metodi risoluti cavava i denti senza tanti complimenti.
Si chiama Giovanni Battista Orsenigo, ed era nato a Pusiano (Como) nel 1837, aveva fatto la terza elementare ed era figlio di macellaioAll' ordine si era presentato con 38 libri e 12 ferri per denti. 
Oltre alla gente comune molti personaggi dell' epoca ricorrevano alle sue tenaglie, che in alcuni casi erano il pollice e l'indice. Sfilarono, dal 1868 al 1903, davanti al frate i denti sconquassati di Giolitti, di Crispi, di Ruggero Bonghi, di Carducci quando era ospite dell' editore Angiolino Sommaruga in via Due Macelli. 
Orsenigo poi andò al Quirinale al dolente richiamo della regal bocca della Regina Margherita, a papa Leone XIII senza che se ne accorga, porta via un molare, così pure alla divina cantante Adelina Patti. Quando andò in Vaticano per la piorrea di un Monsignore, Pio IX lo volle conoscere, gli disse che anche lui vorrebbe aver bisogno del suo tocco fatato ma che, peccato!, i denti non ce li aveva più. Orsenigo lavorava praticamente gratis, anche se non disdegnava qualche offerta dai benestanti.
Frate Orsenigo ebbe grande notorietà nella Roma Umbertina di fine Ottocento e la sua fama varcò l’Oceano, al punto da finir segnalato ne “Il Guinness dei primati” in quanto, avendo preso a collezionare i denti che estraeva nell’Ambulatorio dell’Ospedale Fatebenefratelli all’Isola Tiberina, riuscì a metterne assieme oltre due milioni: per l’esattezza, ad una conta effettuata nel 1903, ossia l’anno prima della morte, erano già arrivati a 2.000.744.
Dall'Isola Tiberina  Orsenigo non si mosse mai più, continuando ininterrottamente a cavar denti fino all'anno 1904 che lo colse la morte. Nessuno s'azzardò mai ad assegnargli altri incarichi o ad inviarlo in altre Comunità, in quanto lo si riteneva assolutamente insostituibile in quell'ormai mitico Gabinetto Dentistico datogli accanto alla spalletta di Ponte Quattro Capi.